Le meraviglie del microbiota
Tra il nostro stomaco e il nostro intestino vivono e si moltiplicano alcune centinaia di migliaia di miliardi di microorganismi. Sono soprattutto batteri, ma anche virus, funghi, protozoi. Tutto questo complesso di esseri viventi viene chiamato microbiota. I genomi di questi microorganismi presi collettivamente prendono invece il nome di microbioma. Teniamo bene a mente questi termini perché nei prossimi anni ne sentiremo parlare sempre più spesso.
Il microbiota, infatti, è ormai considerato un altro organo del nostro corpo. Se riflettiamo sul fatto che il genoma umano consiste di 23.000 geni mentre il microbioma di oltre tre milioni e che a loro volta questi geni producono migliaia di metaboliti che in alcuni casi sono in grado di rimpiazzare molte funzioni dell’animale ospite, capiamo anche che quello di cui stiamo parlando è un organo virtuale, sì, ma ricco e di un certo peso. Il fatto che gli animali, tra cui anche gli esseri umani, ospitino molti microorganismi è risaputo almeno da quando il naturalista olandese Antoni van Leeuwenhoek inventò il microscopio nel XVII secolo e cominciò a guardare il mondo dei viventi attraverso le sue lenti. Tuttavia, per molto tempo si pensò che queste piccolissime forme di vita non avessero alcun particolare significato per gli animali su cui vivevano, o, al più, fossero portatrici di malattie. Per centinaia di anni la salute degli individui è stata così associata all’assenza di microorganismi. Le cose sono molto cambiate negli ultimi tempi, da quando si è visto che lo sviluppo e, per così dire, la manutenzione del nostro organismo dipende proprio dal microbiota e dal suo genoma.
Cosa fa questo organo virtuale e perché è così importante? Il primo servizio reso riguarda la nutrizione e la difesa dell’organismo dai suoi nemici naturali. In particolare, il microbiota intestinale svolge funzioni essenziali per la fermentazione di prodotti non digeribili come le fibre alimentari che ingeriamo e il muco intestinale che produce il nostro organismo. Questa fermentazione permette la crescita di microbi specializzati che a loro volta producono acidi grassi a catena corta (SCFA) e gas. Gli SCFA hanno mostrato di avere un ruolo importante in diversi campi, come ad esempio il controllo dell’appetito, il bilanciamento dell’ossigeno, l’omeostasi energetica.
Il microbiota intestinale sembra collegato anche allo sviluppo e alla progressione dell’obesità: molti studi hanno mostrato che persone sovrappeso e obese hanno una disbiosi, ovvero uno squilibrio nella popolazione di microbi ospitati nel nostro corpo, in particolare una ridotta diversità del microbiota, ovvero un minor numero di specie di microorganismi. Una diversità di specie più ridotta del normale è stata osservata anche in persone con malattia infiammatoria intestinale, artrite psoriasica, diabete di tipo 1 e di tipo 2, eczema atopico, celiachia, rigidità delle arterie.
Si è poi visto che i pazienti con cancro trattati con immunoterapia, i pazienti sottoposti a trapianto di midollo e quelli con malattie autoimmuni sotto trattamento con farmaci biologici possono presentare una risposta diversa alle cure in base a cambiamenti anche piccoli del loro microbiota.
Insomma, non c’è dubbio che i microorganismi che ospitiamo hanno una importanza determinante per la nostra salute. Ma c’è di più. Si è visto infatti che il microbiota gioca un ruolo centrale in tre processi che tradizionalmente sono stati utilizzati per definire l’identità di ogni essere umano, il proprio sé: il sistema immunitario adattivo (che discrimina tra self e non self, ovvero tra le molecole che appartengono all’organismo e quelle che gli sono estranee); le funzioni cerebrali che sono alla base della personalità e dei processi cognitivi delle persone; la sequenza del genoma di un individuo.
Se questo è vero, però, la questione trascende la biologia e sconfina nella filosofia: noi, esseri umani, siamo realmente individui separati da tutto il resto?
Il nostro concetto di noi stessi sembra possa essere travolto da un esercito di microorganismi. Vediamo come questo può accadere partendo dal sistema immunitario. Il microbiota vive con questo sistema un rapporto “bidirezionale”, nel senso che il sistema immunitario controlla e pattuglia le varie parti dell’organismo con dei sensori che percepiscono la presenza di microbi. Ma questi microbi sono fondamentali per la maturazione del sistema immunitario inviando segnali utili per la sua regolazione.
Il microbiota ha dimostrato di avere un ruolo importante nel controllo di diversi compartimenti dell’immunità. Sappiamo infatti che l’immunità acquisita o adattiva può essere divisa in immunità cellulo-mediata, ovvero quella che non coinvolge gli anticorpi ma è mediata da cellule come i linfociti, e immunità umorale o anti-corpale, ovvero quella che è mediata da molecole circolanti come gli anticorpi che riconoscono a aiutano ad eliminare gli antigeni. Ebbene, il microbiota agisce su entrambe queste forme di immunità, da un lato favorendo l’espansione di linfociti che limitano la risposta dell’organismo e, dall’altro, promuovendo l’espansione delle IgA, le immunoglobuline protettive delle mucose, e inibendo le IgE, le immunoglobuline che mediano molte risposte allergiche. Benché molti aspetti del complesso dialogo tra il microbiota e il sistema immunitario adattivo siano ancora poco chiari, è chiaro tuttavia che il microbiota è parte del processo che, da un lato, definisce il fatto che l’organismo riconosce uno specifico schema molecolare come diverso da sé e, dall’altro, determina la forza con cui quell’organismo risponde a ciò che è diverso da sé. Da un punto di vista immunologico, il sé non è più dunque un tratto distintivo dell’essere umano, ma il prodotto di interazioni complesse tra le cellule umane e una moltitudine di cellule dei microbi. Detto in altri termini, ciò che tradizionalmente abbiamo finora chiamato self dipende da ciò che tradizionalmente abbiamo chiamato non-self . Una scoperta a dir poco inquietante.
Ancora più inquietante è scoprire che gli effetti principali del microbiota e del suo microbioma sul sistema nervoso sembrano essere relativi ad alcune caratteristiche del nostro comportamento.
Studi comportamentali condotti sui roditori, infatti, hanno messo in relazione modificazioni nel microbiota intestinale con funzioni cognitive, comportamenti sociali e risposte allo stress come ansia e depressione. Inoltre, analisi anatomiche ed elettrofisiologiche attualmente in corso ipotizzano l’esistenza di una rete complessa di comunicazione tra i prodotti dei microorganismi intestinali e le funzioni del sistema nervoso centrale. Benché almeno una parte degli effetti riconducibili all’asse microbiota-intestino-cervello possano essere indiretti (cioè dipendere dagli effetti dei microbi sulla nutrizione, il metabolismo e l’immunità che a loro volta influiscono sul cervello), le ricerche sui roditori sembrano rivelare che il microbiota è un importante attore nel processo di insorgenza delle malattie neurodegerative e nello sviluppo del sistema nervoso. In particolare, sembra che il microbiota intestinale possa influenzare il comportamento degli animali producendo piccoli metaboliti, incluse alcune molecole di neurotrasmettitori, che interagiscono direttamente con il sistema nervoso o che entrano nel circuito del sangue e raggiungono così il cervello. In realtà c’è molto ancora da studiare su questo meccanismo. Uno studio appena pubblicato però ha dimostrato in modo rigoroso che il modo di camminare dei moscerini della frutta (Drosophila melanogaster) è influenzato da uno specifico batterio che si trova nell’intestino di questo animale.
E arriviamo al terzo elemento che è alla base della nostra identità: il genoma.
Il genoma dell’essere umano – a parte alcune eccezioni – è fisso e unico per ogni individuo. Anche il microbioma di ogni individuo è unico, un po’ come le impronte digitali. Questa diversità è importante perché il microbioma associato a una persona ha un numero di geni enormemente superiore rispetto al genoma umano, come abbiamo visto, e i geni del microbiota contribuiscono a molti tratti fenotipici dell’ospite, compresi quelli relativi alla nutrizione, alle caratteristiche metaboliche e, come abbiamo detto, all’efficacia che determinati farmaci hanno sul singolo individuo. Il fatto che caratteristiche umane tanto importanti non possano essere definite esclusivamente dai geni della persona non sarebbe poi così “sconvolgente” se i geni dei microorganismi che ospitiamo si diversificassero insieme e in relazione con l’ospite umano. Ma non è così: molti aspetti della composizione genetica del microbiota possono variare indipendentemente dal genotipo umano sia tra individui diversi sia in uno stesso individuo in tempi diversi.
Questo ha due conseguenze: la prima è che la medicina di precisione basata sul genoma dell’individuo deve essere rivista sulla base del fatto che molte caratteristiche importanti non dipendono solo dal make up genetico della persona, ma anche dai geni dei microorganismi che quella persona ospita. La seconda conseguenza è la messa in discussione di qualsiasi definizione del sé in termini di genoma dell’individuo.
Benché ci sia una componente ereditaria del microbiota intestinale, anche fattori ambientali come la dieta, i farmaci e le misure antropometriche ne determinano la composizione.
Ad esempio, si è visto che alcuni dolcificanti che vengono utilizzati come alternativi allo zucchero possono avere un effetto negativo sul microbiota intestinale. In particolare, sucralosio aspartame e saccarina hanno mostrato di poter influire negativamente sulla sua biodiversità. Topi a cui è stato dato sucralosio per 6 mesi, ad esempio, hanno presentato un aumento dell’espressione di batteri che favoriscono l’infiammazione e metaboliti non regolari. Anche gli additivi alimentari come gli emulsionatori che si trovano in molti cibi industriali hanno mostrato di avere un effetto negativo sul microbiota dell’intestino. Altra fonte di preoccupazione sono gli effetti collaterali delle diete restrittive, come le diete vegane, quelle crudiste, senza glutine e la low FODMAP, una dieta indicata per la cura della sindrome dell’intestino irritabile perché povera di un particolare tipo di carboidrati che vengono poco assorbiti nell’intestino tenue e che, quindi, passano nell’intestino crasso dove vengono fermentati dai batteri.
Ma su questo sono ancora in corso studi. Invece è sicuro che alcuni farmaci modulano la composizione del microbiota: ad esempio, gli antibiotici. E gli antibiotici vengono normalmente utilizzati negli allevamenti per permettere una crescita più veloce degli animali. Si pensa che sia stato proprio questo massiccio uso di antibiotici e diete sbagliate a determinare una perdita di biodiversità del microbiota dopo la seconda guerra mondiale. Non a caso nello stesso periodo è aumentata l’incidenza di malattie metaboliche.
Oggi dunque si pensa di creare una banca mondiale di microbiota, un deposito che raccolga le moltissime specie di microorganismi che vivono nei nostri corpi e che, come la banca dei semi, ci permetta di resistere alla perdita di biodiversità. La proposta viene da un gruppo di ricercatori della New Rutgers University che l’hanno lanciata sulle pagine di Science. Un tentativo di salvare anche la nostra identità.
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