Tra il moscerino della frutta e piccoli laboratori, ecco cosa ricordare del Premio Nobel per Medicina 2017
Il Nobel per la Fisiologia e Medicina quest’anno è stato assegnato a Michael Rosbach, Jeffrey C. Hall e Michael W. Young per il loro studi sui meccanismi che controllano i ritmi circadiani. Come ogni anno, nella giornata di ieri abbiamo imparato tutto su come, negli anni ’80-’90, gli studiosi premiati hanno identificato i geni che lo controllano, primo fra tutti il gene period.
Siccome è già storia e ieri il mondo è stato impegnato a celebrare il Nobel per la Fisica agli scopritori delle onde gravitazionali, in questo commento non mi dilungherò a spiegarvi quanto è importante capire come funziona il nostro orologio interno e come si sincronizzi con gli eventi ciclici che riempiono la nostra vita. Non vi dirò che la piena comprensione del funzionamento dei ritmi circadiani e le loro disfunzioni sarà alla base della nostra abilità futura di comprendere perchè dormiamo, come non soffrire il “jet-lag” quando viaggiamo attraverso i fusi orari, o come non ammalarci di depressione, diabete e altre malattie.
Invece oggi vi racconterò brevemente una storia semplice. Un pre-quel al Nobel, se vogliamo. Come si è arrivati a scoprire quello che i premiati hanno scoperto e perché è importante continuare a condurre ricerche come quelle di Rosbach, Hall e Young.
I più attenti tra i lettori dall’annuncio del Nobel per Fisiologia e Medicina hanno scoperto con meraviglia che per comprendere il funzionamento del ritmi circadiani, i tre novelli Nobel hanno utilizzato il moscerino della frutta, un piccolo insetto la cui esistenza ci viene ricordata solo d’estate quando ronza attorno a cestini di frutta lasciati al sole o, per chi è più inebriato, sopra i tini della vendemmia. In realtà, insieme a molti altri organismi, il moscerino della frutta, e più precisamente la specie Drosophila melanogaster è un tra i sistemi modello più usati nella ricerca scientifica.
Chi ci lavora, come il sottoscritto, lo considera il coltellino svizzero della scienza. Come il versatile insetto d’oltralpe, Drosophila si presta a molteplici usi scientifici. È minuscolo e può essere facilmente essere analizzato al microscopio in tutte le sue parti. È economico, infatti centinaia di individui possono essere coltivati in un vasetto di vetro come quello dello yogurt con sul fondo un po’ di pappa fatta di polenta e succo di frutta. Ma soprattutto più di un secolo di uso come modello per la ricerca ha permesso di aver a disposizioni molti modi di inattivare o modificare (in gergo tecnico “mutare”) i suoi geni per comprenderne il funzionamento.
Da ciò son partiti i tre premiati. Anzi, a dir la verità da lì erano partiti già negli anni ’70, altri due scienziati, Seymour Benzer e il suo allievo Ron Konopka per scoprire period.
Come? Semplicemente prendendo molti moscerini, nutrendoli con pappa contenente un agente chimico mutageno e poi selezionando quei pochi che, come un adolescente che ha fatto troppo tardi, non emergevano dal loro bozzolo alla prima luce del mattino. Per fare alcune delle selezioni, Seymour e Ron avevano costruito a mano una semplice serie di gabbiette comunicanti in plastica trasparente in cui i moscerini meno reattivi potevano essere facilmente separati dai loro cugini normali. Così facendo, raccolsero rari moscerini con modifiche e danneggiamenti in una serie di geni che, sappiamo ora, controllano non solo i ritmi circadiani, ma anche molti aspetti del comportamento, della visione e della locomozione. Anche se a nessuno era chiaro che uno studio del genere potesse avere rilevanza per l’uomo, ancora oggi sarebbe proibitivo e costosissimo da condurre usando organismi più simili a noi come le cavie da laboratorio.
Dopo l’isolamento dei moscerini mutanti, l’individuazione dei geni danneggiati e il loro studio prese molto tempo. Infatti, l’agente mutageno che Benzer e Konopka avevano usato genera delle mutazioni a singole lettere del DNA, e trovarle, ancora oggi è un po’ come cercare un ago in un pagliaio. Infatti, Konopka finì per lasciare la ricerca e darsi ad altro. Allo stesso modo, comprendere come funziona un gene e le proteine da esso prodotte, pur avendo a disposizione un coltellino svizzero con l’attrezzo giusto, ovvero un serie di moscerini che se ne vanno in giro con una versione del gene mutata, non è per nulla semplice e richiede molta lavoro e perseveranza. Tale merito, per i geni che controllano i rimi circadiani, va dato principalmente a Michael Rosbach, Jeffrey C. Hall e Michael W. Young, ci ricorda l’Accademia delle scienze Svedese.
Come spesso accade, ricerche ulteriori rivelarono che ciò che è vero nel moscerino, in questo caso, è vero per l’uomo e per la gran parte degli organismi multicellulari, piante incluse.
È importante raccontarvi di insignificanti moscerini e ricercatori dediti al loro studio perché la ricerca biomedica non è fatta solo di illustri uomini in camice bianco che, come star, si accingono a capire come far star meglio un paziente. O di multinazionali farmaceutiche che investono milioni nello sviluppo di farmaci salvavita.
O di grandi imprese globali come quella che ha portato all’individuazione delle onde gravitazionali. Ancora oggi, gran parte della ricerca biomedica, soprattutto nelle Università, è fatta in piccoli laboratori dove una mezza dozzina di ricercatrici e ricercatori (spesso, tristemente, più ricercatrici dirette da ricercatori che il contrario), sottopagati, poco finanziati e con strumenti semplici, passano molti anni a risolvere problemi difficili e apparentemente “piccoli”, con passione, entusiasmo, creatività e rigore.
A volte le soluzioni a piccoli problemi, come in questa storia, portano a balzi enormi nella nostra conoscenza, ma lo si capisce solo dopo un bel po’. Per cui è importante che la nostra società supporti anche i ricercatori che studiano ciò che vogliono e nel modo in cui vogliono, seguendo il loro più puro interesse o passione. Sempre più raramente ciò succede, in un periodo in cui le risorse si assottigliano e le aspettative dei cittadini nei confronti della ricerca spingono verso ricerche sempre più finalizzate alle cure. C’è da capirlo. Ma quando succede, non solo il ritorno in termini di sapere è enorme, ma i risparmi possono essere notevoli perché – al contrario del caso di grandi e roboanti programmi – se qualcosa non funziona non si disperdono somme ingenti.
Per aspera ad astra, senza muoversi dal laboratorio nel sottoscala.
Condividi